A PROPOSITO DI RODEN CRATER

Considerato il più grande intervento di land art al mondo, il Roden Crater nel Painted Desert dell’Arizona è il cratere di un vulcano spento acquistato alla fine degli anni Settanta da James Turrell per realizzarvi un progetto affascinante e complesso, dove l’arte ha chiesto aiuto alla tecnologia e alla scienza per potersi esprimere.

Questo spiega perchè James Turrel, che ama definirsi artista e non scienziato, fosse tra i relatori del congresso Bergamo Scienza, svoltosi nell’ottobre del 2008, dove Gisella Gellini e Clara Lovisetti hanno avuto occasione di incontrarlo. Frutto di quell’incontro è una articolata intervista su Roden Crater, sulla sua genesi e sui suoi moltiissimi significati, anche religiosi.

Spiega Turrell che se ripercorriamo la storia dell’arte, se pensiamo a Caravaggio e Tiziano in Italia, a Velazquez e Goya in Spagna, a Constable in Inghilterra, ma soprattutto a Turner e a Rubens, a Rembrandt e a tutti gli Impressionisti, possiamo farci un’idea chiara di come la luce sia stata vista e rappresentata dagli artisti. Anche se a volte la sua presenza nell’opera è solo casuale, in ogni caso la luce è funzionale a quel potente contesto emozionale. Ecco spiegato lo stretto, inscindibile legame tra la storia dell’arte e la pittura della luce.

“Nel mio caso – racconta Turrell – volevo l’esperienza diretta della luce. Il corpo, infatti, ha un rapporto intenso con la luce, che è molto importante perché noi la assorbiamo attraverso la pelle sotto forma di vitamina D: materialmente la beviamo, è come se fosse un nutrimento. Ecco perché la mancanza di questa vitamina produce effetti drammatici, causando una forma di depressione frequente soprattutto nei Paesi nordici. Invece di prendere degli antidepressivi, basterebbe farsi una bella passeggiata al sole, che qui in Italia non mi sembra proprio scarseggi. […]

“La luce ha inoltre un forte impatto emotivo sulla mente, il che rende molto importanti le esperienze psicologiche indotte dall’illuminazione. Ecco perché nell’illuminazione architettonica, ad esempio, quando abbiamo solo luce uniforme senza alcuna modulazione la permanenza in un ambiente risulta tanto sgradevole. Bisognerebbe smetterla di trascurare questi aspetti, perché lo scopo non è soltanto ‘illuminare’ un dato spazio, non si tratta solo di progettare un edificio piazzando poi delle luci sul soffitto…. Al contrario, bisognerebbe pensare a come la luce riempie lo spazio, a come si fonde con esso, bisognerebbe stabilire un codice emozionale della luce”.

Pubblicato su LIGHTING ACADEMY