“Corrente di luce” – Donatella Schilirò

Testo critico a cura di Gisella Gellini
Quaderni di Casa Frabboni, 2011

Corrente di luce - Donatella Schilirò

Conversazione con Donatella Schilirò

di Gisella Gellini

Generalmente l’arte è, o dovrebbe essere, il principio informatore e ispiratore per l’artigianato e l’industria.
Nel caso di Donatella Schilirò si è realizzato il percorso inverso: lei, che ha vissuto e partecipato da sempre alle attività dell’azienda familiare che progetta e produce insegne luminose, ad un certo momento ha voluto trasfondere la sua esperienza intellettuale e manuale nella realizzazione di opere di Light Art. E il progetto è perfettamente riuscito come conferma quanto dice l’artista nell’intervista che segue.

Artigiano o artista della luce, tu come ti definiresti?
Un tempo gli artisti erano considerati artigiani ma io mi definirei scultore di luce. La passione per la luce la devo alla mia famiglia, che mi ha sempre educato nel lavoro a trattare con la massima cura e maestria questo strumento meraviglioso. Mio padre è stato fondamentale nell’insegnamento e nel farmi capire che tutto è possibile. Sono sempre stata nel laboratorio dei miei genitori ad osservare come un tubo semplice di vetro potesse comunicare con la forza intensa della luce. Da bambina, la mia immaginazione provava a trasformare un lavoro artigianale come quello di mio padre in arte. Ho sempre sognato ad occhi aperti come poter inserire linee di luce sui muri, sui pannelli di metallo e polimetilmetacrilato usandoli come fogli di carta.
All’Accademia, in tutti i miei disegni di anatomia artistica e nei bozzetti in creta cercavo il modo di catturare la luce attraverso le tecniche tradizionali.

Perché la luce per esprimerti?
La luce è una presenza vitale ed emozionante e solo con essa si può intendere la materia.
Mi esprimo con la luce al neon, a catodo freddo, pensando di lavorare con un pennello, uno scalpello oppure una lama perforante per simulare degli squarci immaginari. In alcuni miei lavori si entra addirittura in contatto, illusionisticamente, con il cuore e l’intimità della terra, portando lo spettatore in un’altra dimensione.
La luce al neon nasce attraverso un’attenta e meticolosa tecnica di piegatura con la fiamma regolabile. All’interno del tubo di vetro si crea il vuoto per poter inserire, attraverso una pompa, i gas nobili, neon e argon.
Questa tecnica artigiana sperimentata da ormai un secolo nella comunicazione visiva, permette una vita molto lunga della luce, a differenza delle ‘cugine’ lampade fluorescenti che hanno una durata media breve.
Il neon in origine è di colore rosso e l’argon è azzurro, i colori delle varie tonalità nascono attraverso l’inserimento di fosfori nei tubi: queste particelle fluorescenti mi permettono di trasmettere l’idea di contaminazione.
È una scelta artistica il posizionamento del trasformatore all’interno dei lavori al fine di renderlo invisibile e garantire un’estrema pulizia tecnica all’opera. Anche gli elettrodi, elementi fondamentali presenti nel tubo al neon a catodo freddo, li celo per far emergere la luce sospendendola nella materia.

C’è stato un cambiamento nel tuo modo di lavorare con la luce da quando hai iniziato ad oggi?
Dopo una lunga sperimentazione, siamo riusciti ad affinare nel nostro laboratorio una tecnica policroma con l’intento di trasmettere, attraverso le variazioni cromatiche ottenute utilizzando solo i gas nobili neon e argon, lo scorrere del tempo. Una costante dei miei lavori è l’incontro dei due colori complementari, il rosso e l’azzurro, che insieme acquistano la forza della luce del cielo.

Quali fonti luminose hai usato nel tempo per ottenere certi effetti?
Fino ad oggi la mia espressione artistica nasce prevalentemente attraverso l’utilizzo del neon, spesso sfidando le tecniche di soffieria. In un lavoro del 2007, Aeternitas, ho portato all’estremo la possibilità di lavorare ben undici metri di tubo che, modellandosi, avvolge e si arrampica come un tralcio su una colonna di alluminio, costringendo lo spettatore a ruotare intorno all’opera per leggerla, come si usava nelle opere barocche. Anche il trasformatore, cuore dell’installazione, indispensabile per accendere gli elementi luminosi, è stato messo a dura prova superando il limite della tecnica.
In un altro lavoro, Transitum del 2009, ho inserito il neon in un’incisione, come se fosse parte della stessa materia: l’intento è di lasciare memoria della luce, nel caso in cui dovesse sparire, attraverso il segno.
Anche in Intima del 2010 si scorge il solco fresato nel polimetilmetacrilato, ma il neon è stato inserito all’interno tra due lastre riportanti immagini traslucide, per fare da collante emozionale e poetico.
Infine in OΡAΩ (“io vedo” 2011) la luce ha assunto le sembianze di un liquido policromo al fine di evocare una sorta di rotazione cosmica.

Come cambia il tuo approccio nel creare performance temporanee o installazioni permanenti?
Sembrerà stano ma dedico lo stesso impegno sia per una esposizione temporanea che per una permanente. Studio ogni volta il tipo di lavoro da eseguire, pensandolo appositamente per le varie manifestazioni. Un dato rimane costante: i miei lavori possono vivere sia in interno che all’esterno perché sono pensati e costruiti con materiali che resistono all’acqua e alle intemperie.

Ci vuole una grande conoscenza tecnica e sicuramente una brava équipe per realizzare e mantenere installazioni permanenti sul territorio: che segno hai voluto lasciare nel tessuto urbano di San Pietro in Casale con l’installazione dell’opera Corrente di luce nel parco Frabboni?
Occorre principalmente avere una grande sintonia con le persone che lavorano insieme a te. Devo dire che sono molto fortunata perché, grazie a tutta la mia famiglia e ai tecnici della Neon Stile, posso esprimermi senza riserve.
Siamo tutti contagiati da una grande passione per il lavoro e per l’estrema cura e attenzione dei dettagli di fissaggio e strutturali.
Corrente di luce nasce dall’idea di far riemergere le falde sotterranee presenti nel nostro territorio, utilizzando immagini di corsi d’acqua naturali e artificiali. Il lavoro è composto da cinque elementi di luce e immagini, inseriti all’interno di arcate architettoniche del Parco Frabboni.
Visitando il luogo, ho infatti avvertito la necessità di rendere vitali e aeree le parti cieche delle arcate, immaginando una finestra aperta su diverse correnti d’acqua, fonte di vita e di energia, utilizzando varie tecniche di luce con l’applicazione del neon.
Il primo elemento, Energia di luce contiene un’ombra umana proiettata sul corso artificiale e immaginario di un sentiero sorgivo all’interno di un parco londinese. L’ombra dell’uomo si allunga e diventa linfa, proseguendo nel secondo elemento che mostra il corso del fiume della Val di Zena, nel nostro Appennino, e di seguito negli altri elementi con il mare incontaminato di isole paradisiache, per poi ritornare nel parco londinese.
L’intento dell’opera è quello di invitare l’uomo contemporaneo ad una riflessione: come si può salvare il nostro pianeta?
Nell’arcata centrale si scorge il nucleo dell’opera: attraverso le trasparenze dei materiali utilizzati, quali il polimetilmetacrilato colato e l’immagine traslucente, il segno diventa scrittura di luce policroma, prodotta da una tecnica esclusiva di laboratorio.
La sfida è stata quella di trasmettere una vibrazione di pensiero, sperimentando diverse tecniche di utilizzo del neon come fonte primordiale di luce, coprendolo, svelandolo, velandolo e rivelandolo. Con grande stupore, ho saputo che all’interno di questo parco, tantissimi anni fa, vi erano diversi giochi d’acqua. Con la mia installazione ho riportato sensazioni ed emozioni ormai perdute… ma non dimenticate.

Quale è il tuo rapporto con luce-acqua-natura, presenti in questo tuo ultimo lavoro?
La luce, l’acqua e la natura sono sempre stati elementi di “origine” nella storia dell’arte e anche nella filosofia dei presocratici della scuola di Mileto, come Talete e Anassimandro, che ricercavano l’arché delle cose. L’acqua rievoca la nascita e la morte, induce l’uomo a pensare al ciclo della vita. La luce fa riaffiorare l’insita natura delle cose, è elemento fondante dell’origine del mondo e della stessa natura che è presente nelle mie opere. Luce-acqua-natura generano l’infinito trascorrere della vita che sfocia nella drammaticità della morte, ultima tappa del nostro cammino. Contemporaneamente mirano a simboleggiare lo scorrere del tempo, con i suoi attimi irripetibili, come l’acqua del fiume eracliteo.

Che difficoltà hai incontrato lavorando con realtà private e pubbliche?
Con il privato l’approccio è molto più semplice: quando il tuo committente ha deciso tutto va bene. Il pubblico comporta più burocrazia, soprattutto se intervengono i beni architettonici e culturali.

Che obbiettivi ti proponi di raggiungere?
Poter sperimentare ancora con nuovi materiali e unire varie fonti di luce per poter parlare con maggior forza di aspetti che sottovalutiamo nella vita di tutti i giorni: nella frenetica routine quotidiana siamo giunti al terribile punto di non dare importanza e sfruttare la natura. Le mie opere vogliono celebrare la natura: mi piacerebbe che, un giorno, immergendoci nelle mie opere, come ai tempi del romanticismo, ci potessimo a sentire piccoli di fronte alla grandezza e all’immensità della natura.