Il sogno di Panza di Biumo

E’ scomparso il 24 aprile scorso a 87 anni Giuseppe Panza di Biumo, grande collezionista di arte americana del Secondo Dopoguerra, amante appassionato di arte ambientale, concettuale e in special modo, minimale. Per noi, che di luce scriviamo, colui che ci ha introdotti a Dan Flavin, al neon, che nella villa di famiglia di Biumo (Varese), poi donata al Fai nel 1996, possiamo sempre ammirare.
Si dice che si avvicinò all’arte da bambino, quando, costretto a rimanere isolato a causa della scarlattina, iniziò a studiarla sulla Treccani.
Iniziò a frequentare New York nel 1954, dove trascorreva almeno un mese ogni anno insieme all’adorata moglie Rosa Giovanna, ma il primo investimento fu un quadro astratto di Anastasio Soldati da Guido Le Noci a Milano, per 100mila lire alla fine del 1955. L’espansione economica dei decenni successivi consentì al conte Giuseppe Panza di costruire una collezione di Minimal Art tra le più importanti al mondo, come detto, oggi in parte esposta a Villa Menafoglio Litta Panza a Biumo e in parte al MoCa di Los Angeles, al Guggenheim di New York e al Museo Cantonale di Lugano. Dal 1956 al 2000 il conte Panza ha collezionato circa 2.500 lavori.

Il motto della sua vita fu “Comprare, conservare, tramandare”, ma chi ha avuto il privilegio di conoscerlo di persona ci rivela che aveva un sogno: fondare un museo della luce. Lo ricorda per Archilight in questo “ritratto” molto personale ed esclusivo Gisella Gellini.

(P.B.)

Gellini: “Il mio ricordo di Giuseppe Panza”

Incontrare lui e sua moglie è stata una delle esperienze più belle della mia vita, sia artisticamente che affettivamente; mi ritengo fortunata ed onorata.
La loro collezione permanente a Biumo è stata fonte di stimolo e ispirazione per iniziare e proseguire la mia ricerca sugli Artisti della Luce; dialogare con lui sul rapporto Luce-Colore-Spazio, mi ha trasmesso la sua passione, il suo entusiasmo, il suo amore per l’Arte; mi ha fatto capire cosa lo ha spinto ad occuparsi per tanti anni di un aspetto così difficile e poco conosciuto dell’arte, la determinazione e la passione con cui ha affrontato le difficoltà per portare avanti la collezione, con tanta apertura mentale, spesso in mezzo ad un mondo di ciechi.
A questo proposito, riporto un brano dalla prima intervista effettuata nella sua casa di Milano:
G.G.: Come ha iniziato ad interessarsi all’arte della luce?
G.P.: Era una necessità: ho cominciato a collezionare Flavin nel ’66 e gli altri artisti di Los Angeles nel ’68 e ritenevo che questa evoluzione della luce fosse un cambiamento radicale, qualche cosa di estremamente importante nella storia della cultura…

Ho approfondito la mia conoscenza dell’arte della luce grazie ai suoi suggerimenti, vivendo le installazioni dei Rustici (in ore diverse del giorno, in ogni stagione iniziando sempre, come mi consigliava, dall’installazione di Maria Nordman.
Abbiamo condiviso il sogno di realizzare un archivio di opere e artisti dell’arte della luce.
Sempre dalla stessa intervista.
G.G.: Secondo Lei perché in Italia, non esiste un museo dell’arte della luce?
G.P.: A questo ho sempre pensato, è stato sempre un mio sogno.
G.G.: Abbiamo un sogno in comune.
G.P. : Il mio sogno sarebbe di realizzare un museo dedicato a questa arte: sarebbe un museo sublime, sarebbe un trionfo di qualche cosa di estremamente importante per l’umanità, perché sarebbe un posto per vivere delle emozioni e provarle fisicamente: sarebbe magnifico poter entrare dentro degli spazi impregnati da queste espressioni così intense e così essenziali, perché non c’è niente di più essenziale della luce. Non so quando si realizzerà questo bellissimo sogno, forse troppo bello.

Il condividere quanto sarebbe stato importante realizzare un archivio degli artisti della luce, soprattutto come patrimonio didattico per i giovani che progettano la Luce, ci ha portato a collaborare con il Laboratorio Colore del politecnico di Milano, dove abbiamo realizzato il libro: “Light Art Considerazioni per un archivio dedicato all’arte della luce“.

Infine, dietro suo suggerimento, con il suo appoggio e con la sua attenta e severa supervisione, ho realizzato lo scorso anno la mostra di alcune opere di Dan Flavin presso il Museo Berardo di Lisbona, che ha contribuito a diffondere la conoscenza di quest’arte.

(G.G.)

Pubblicato su ARCHILight