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Biennale Light Art Mantova 2020

Testo critico a cura di Gisella Gellini
Il Rio, 2020

Black Light Art: opere al nero

di Gisella Gellini

L’idea di esporre opere di Black Light nella Casa del Mantegna a Mantova nasce dall’invito di Vittorio Erlindo, curatore della Biennale Light Art di Mantova, a collaborare all’edizione di quest’anno.

La visita alla location, edificio monumentale di valore storico e artistico, abitazione, studio e scuola di Andrea Mantegna, mi ha affascinato per il suo disegno architettonico, caratterizzato da una pianta dal disegno geometrico perfetto: il cerchio del cortile è incluso nel quadrato del corpo di fabbrica con cui è collegato da un percorso circolare; le stanze si affacciano sul vano cilindrico del cortile, evidente riproposizione rinascimentale dell’atrium di una domus romana. Per le sue caratteristiche, il piano terra mi era subito apparso come un luogo interessante e idoneo ad accogliere opere di Black Light, con la luce di Wood.

Già, ma che cos’è la Luce di Wood? La luce di Wood, o Black Light, o luce nera, è una radiazione elettromagnetica concentrata prevalentemente nello spettro dei raggi ultravioletti con componenti trascurabili in quello della luce visibile. Il suo nome deriva da Robert Williams Wood, lo scienziato statunitense che ne iniziò lo studio e ha applicazioni non solo nel campo artistico, ma anche in quello scientifico e industriale. Con lunghezza d’onda attorno a 375nm, è una luce ultravioletta “molto vicina” allo spettro visibile; non è quindi percepita direttamente dal nostro occhio e si evidenzia quando incide su particolari pigmenti. In questo modo le opere, realizzate con vernici speciali appositamente sviluppate, sembrano emergere dal buio con un effetto di notevole impatto emotivo.

La Black Light ha quindi la capacità di coinvolgere lo spettatore in un’esperienza sensoriale dove la realtà non appare con il solito aspetto ma si veste di colori, di forme e di spazialità insolite e sorprendenti. Fra i primi ad accorgersi di questa potenzialità, era il 1949, fu il grande Lucio Fontana con il suo “Ambiente spaziale a luce nera”, realizzato per una mostra a Milano. Fra gli artisti che ne hanno raccolto l’eredità, ricordiamo qui Giovanni Colombo e il suo “Spazio elastico” degli anni ’60.

Il mio rinnovato interesse come curatrice nei confronti della Black Light si deve a un incontro con Fabio Agrifoglio, figlio dell’artista Mario Agrifoglio e presidente della Fondazione intitolata al padre, che sin dagli anni ’70 del secolo scorso ha sperimentato questo mezzo espressivo lasciando un corpus notevole di opere che costituiscono la base della Fondazione omonima.

A Fabio Agrifoglio si è poi unito Gaetano Corica, architetto e designer, esperto di questo settore dell’arte, con cui abbiamo formato un team di lavoro per approfondire il tema della Black Light, facendo una ricerca sugli artisti contemporanei che lavorano in questo settore dell’arte, oltre a studiare e progettare l’ambiente luminoso idoneo per esporre opere di Black Light. Da questa collaborazione sono nate mostre in luoghi prestigiosi in edifici contemporanei come Palazzo Lombardia a Milano, ma anche in ambienti storici come la Rocca Albornoz a Spoleto, tutti eventi che hanno fatto riscoprire al grande pubblico le opportunità artistiche offerte dalla luce nera, un tema ancora attuale.

L’esposizione per la Casa del Mantegna intende quindi far riscoprire ed esplorare le valenze artistiche della luce di Wood, proponendo opere di artisti che la sperimentano.

Nella sale espositive le opere sono illuminate con faretti speciali che consentono di realizzare un ciclo dinamico di luce bianca, luce nera e buio che trasforma gli ambienti, mostrando le opere con colori, forme e spazialità̀ diverse. Infatti, data la peculiarità̀ del tema e delle opere esposte, ogni allestimento è preceduto da un’approfondita ricerca del materiale illuminotecnico idoneo per ogni specifica location al fine di creare ambienti oscurati con gradazioni diverse per rendere fruibili al meglio le opere con la Black Light.

Per questa edizione della Biennale Light Art di Mantova sono proposti tredici artisti, ciascuno con il suo approccio peculiare alla luce nera, oltre a Mario Agrifoglio, unico artista scomparso e che è l’elemento unificante del concept della mostra.

Il percorso nella Casa del Mantegna è introdotto dall’artista milanese Nino Alfieri, che accoglie il visitatore con “Light Seeds – evanescenza pulsante e l’energia dei semi”, opera multimediale in evoluzione tra scultura e installazione ambientale, realizzata in collaborazione con il compositore musicale Corrado Saija. L’artista si è ispirato a fossili, amigdale, puntali di aratro antichi e forme-matrice organiche che qui assumono l’aspetto di semi primari di forma di misure variabili in terra cruda o terracotta, collocati a terra in una grande cornice tonda in legno. Il visitatore può avvicinarsi e percepire il variare della luce dell’installazione da più angolazioni.

La prima sala della mostra è dedicata a Mario Agrifoglio, artista che mise la Black Light al centro della sua ricerca sul colore e la sua percezione. Qui sono esposte quattro opere pittoriche su tela con tecnica mista (colori acrilici e luminescenti), datate dal 1976 al 1987, che esplorano il fenomeno del metamerismo cromatico. Al cambio dinamico di intensità e tipologia di luci, giocando sul passaggio luminoso mostrano uno studio di variazioni cromatiche differenziate su un tema geometrico costante. Questo fenomeno, peraltro noto ed abbondantemente descritto, diventa particolarmente evocativo al cambio di luce naturale con la luce nera e assume caratteristiche inaspettate e capaci di scatenare, in chi osserva, profonde riflessioni sulla reale natura della percezione di forme e colori.

La sala successiva ospita Carlo Bernardini, artista che vive e lavora a Milano noto per le installazioni in fibra ottica. Per la Black Light a Casa del Mantegna propone “Superfici virtuali con linee di luce ombra”. L’opera è costituita da due condizioni visive autonome, la prima si manifesta in luce reale, la seconda al buio. Una stesura di fosforo determina la seconda condizione in assenza di luce, come un negativo dell’immagine precedente mentre le lampade di Wood alimentano nell’oscurità la stesura fosforescente sottostante alle velature della superficie pittorica. Composta da moduli quadrati, grazie alla sovrapposizione di tante velature ad acrilici in polvere diluiti, produce un effetto di liquefazione della materia, che vira lentamente al bianco. La centralità dell’immagine si pone come un particolare che potrebbe estendersi all’infinito, dove gli incroci delle linee bianche sfumate vanno a coniugarsi tra una superficie e l’altra in un gioco di rimandi geometrici, che al buio si trasformano in linee di luce o in linee d’ombra.

Unica scultura presente tra le opere di Black Light è quella di Federica Marangoni ,artista multimediale attiva a livello internazionale che vive e lavora a Venezia ed è stata pioniera negli anni ’60/’70 della ricerca nei cosiddetti nuovi materiali, come le materie plastiche, il neon e il video. Qui espone “On the Way, Bambina con cane”, una scultura realizzata negli anni ’70 in perspex reattivo alla luce di Wood, che pone lo spettatore al centro di relazioni spaziali emotive e complesse. L’opera appartiene a un ciclo di installazioni che vanno dal 1971 al 1976, quando l’artista lavorava molto sul tema dell’autoritratto e del corpo fatto solo da un contorno, svuotato e luminoso nell’ambiente stesso.

Al centro del percorso espositivo nella grande sala, con accesso al cortile ed al giardino in questo caso oscurati per esigenza di buio totale, si trova LeoNilde Carabba con l’installazione “Work in Process Interstellare”, con colonna sonora di Corrado Saija. L’opera, visivamente è composta da 22 tele, come le lettere dell’alfabeto ebraico, disposte seguendo le dinamiche dello spazio stesso. Il visitatore, al posto della sequenza di lettere, vede forme dipinte con materiali fosforescenti e fluorescenti, visibili con luce diurna, con luce di Wood ed al buio totale e può osservarle iniziando il percorso sia da destra che da sinistra.

Tre artisti dialogano tra loro con un linguaggio minimalista nella penultima sala. Si tratta di Nicola Evangelisti e Sebastiano Romano, che sono tra gli artisti sempre presenti nelle esposizioni di Light Art e Black Light da me curate. A questi si aggiunge Vincenzo Marsiglia, che presento per la prima volta in una mia esposizione.

Prima di entrare nella sala, il visitatore intravede la video-installazione “Luce in scena” di Sebastiano Romano. Nato come scenografo e costumista, l’artista al 2006 ha iniziato a elaborare installazioni luminose dalla forte valenza scenografica negli spazi urbani e nei siti storici di varie città. L’opera qui proposta si presenta come un fondale scenografico, posizionato in modo che l’osservatore si trovi dentro a un tunnel prospettico di archi teatrali, illuminati con luce di Wood che conducono lungo un percorso infinito. Questa video-installazione deriva da un lavoro scenografico creato per uno spettacolo teatrale nel 1995, che qui rivive una nuova dimensione spaziale, in cui la luce delinea prospetticamente la scena divenendo la protagonista, con suggestioni create dalla luce di Wood che ne svela un’altra dimensione visiva.

Nicola Evangelisti, giovane artista che vive e lavora a Bologna e attivo da anni nella Light Art anche con installazioni di grandi dimensioni e mostre a livello nazionale ed internazionale, ci accoglie con l’installazione pittorica “New Quantum”, un’opera site-specific di Black Light appositamente pensata per la Biennale di Light Art di Mantova, formata da quattro moduli componibili ed interscambiabili tra loro in diversi modi, in cui scompare la linea di demarcazione tra pittura e scultura. Con questo lavoro l’artista Inaugura un nuovo ciclo e rende omaggio a Lucio Fontana, in particolare ai Quanta, opere componibili ed installative: “Il soggetto, l’iride umana, è dipinto con vernice fluorescente su tela nera montata su cartone. Al buio, il materiale fluorescente risponde alla luce ultravioletta creando un effetto di pittura luminosa tridimensionale. Le venature dell’iride umana evocano le ramificazioni delle sinapsi; il nero della pupilla è assimilabile a un buco nero. L’esplosione primigenia del Big Bang che ha dato origine alla materia segna il suo completamento con un’implosione, in cui alla fine del tempo il tutto verrà riassorbito e trasportato in una dimensione parallela, per ora ignota e inconoscibile.”

Vincenzo Marsiglia completa il percorso di questa sala con “Fold Screen Paper”. Questo artista ha iniziato a esporre a metà degli ‘90, partecipando a mostre presso gallerie, fiere e musei in Italia ed all’estero, con opere hanno come leitmotiv una stella a quattro punte, diventata nel tempo il carattere distintivo di questo artista, vero e proprio “logo” della sua arte e che ritroviamo nell’installazione realizzata per questa esposizione. L’opera è composta da sette moduli rettangolari (24×18 cm) in cartoncino ondulato, con diverse colorazioni. Ogni elemento è diverso dall’altro e genera una serie di geometrie all’interno dell’opera, che cambia fisionomia interagendo con il colore fluorescente. Si creano così due dinamiche che rendono l’opera fruibile in due modi.

Nell’ultima grande sala del percorso si trovano altre opere site-specific di Black Light degli artisti Cristiana Fioretti, Giulio De Mitri, Yari Miele e Sek (Claudio De Luca), che hanno partecipato alle altre mostre di Black Light da me curate.

Visibile dall’entrata, sulla parete di fondo è collocata “Meduse” di Maria Cristiana Fioretti. Artista multimediale, vive e lavora tra Milano e Mentone (Francia) ed è titolare della cattedra di Cromatologia all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Opera pittorica con colori acrilici e fluorescenti, è un dittico realizzato nel periodo di lockdown e si ispira ai luoghi marini cari all’artista, il mare Adriatico e la Costa azzurra. Un’opera che esprime il suo percorso artistico tra colore, spazio, natura, acqua nella Light Art e Black Light. Di carattere immersivo e contemplativo, in essa il colore blu e la luce sono inestricabilmente considerati e compresi, quando è illuminata da luce bianca si percepisce nella sua totalità, mentre con la a luce ultravioletta mostra solo le parti dipinte con i colori fluorescenti.

Appena entrato, il visitatore incontra l’opera di Giulio De Mitri. Artista rigoroso e raffinato intellettuale, tra i protagonisti internazionali della Light Art, da quarant’anni è una presenza attiva e costante nel campo delle arti visive, tra didattica e impegno sociale, in diversificate attività ed esperienze culturali che delineano un preciso percorso filosofico e sensoriale. Per lo spazio di Casa del Mantegna e per il tema di questa Biennale Light Art di Mantova, ha realizzato “Ogni anima è uno specchio vivente dell’universo” (G.W. Leibniz), e “Sul Mediterraneo è stata concepita l’Europa” (P. Matvejević). Entrambe su lastra specchiata argento in polistirene e disegnate con vinile adesivo fluorescente, offrono un’esperienza immersiva e totalizzante. Sono opere-ambiente in cui spazio e tempo proiettano l’osservatore verso origini remote, poetiche e immaginifiche.

Sulla parete laterale, Sek (Claudio De Luca) presenta la “Danza delle Arti”, una grande tela di 200×300 cm realizzata con pittura fotosensibile che crea effetti diversi con la luce diurna e luce di Wood. Come spesso l’artista usa fare con le sue opere, è arricchita da dettagli come incisioni calcografiche e frammenti di legno di gondola, che sottolineano ed evidenziano il suo continuo dialogo con Venezia: “Il progetto del dipinto è un omaggio alla geometria segreta del “Parnaso” di Mantegna… I tre frammenti di gondola sono collocati nei punti nevralgici e richiamano il contatto col mondo veneziano del Bellini… con l’uso dei LED ultravioletti, al buio, il dipinto si trasforma in una luminosa energia interiore.”

Sulla parete a fronte troviamo “Einstein on the Switch” di Massimo Hachen. Architetto, docente di basic design presso il Politecnico di Milano, ha tenuto seminari sulla Gestalt e la percezione visiva in Italia e all’estero. Come artista compone opere astratte applicando la sua esperienza nella psicologia della forma e dal 2016 sperimenta composizioni duali che utilizzano due differenti fonti luminose, ossia luce bianca e una ultravioletta.

Anche questa opera site-specific per la Biennale di Light Art di Mantova, è un polittico in quattro quadri che si auto-illumina con due tipi di illuminazione interna, una dal basso a luce bianca e una dall’alto a luce ultravioletta (Black Light). Le composizioni contenute nei quadri sono strutture a rilevo in cartone vegetale, che quando sono illuminate dalla luce bianca appaiono tutte uguali e geometricamente regolari. Con la Black Light l’osservatore noterà che all’interno di ogni quadro sono visibili le ombre di coppie di numeri, nella fattispecie 1-5, 2-6, 3-7, 4-8. L’accensione dei quattro quadri è temporizzata e segue il ritmo dettato dal brano musicale Knee Play 5, del compositore minimalista Philip Glass tratto dalla sua opera Einstein on the Beach del 1976.

A chiudere il percorso espositivo, Energy Flow di Yari Miele, giovane artista lombardo, dal 2013 co-direttore dello spazio MARS (Milan Artist Run Space). Il suo è un lavoro di pittura con colori luminescenti, che generano visioni luminose che appaiono dal buio con la luce di Wood, e ricostruiscono venature marmoree, scariche elettriche, venature del corpo umano, come in un flusso energetico altrimenti non visibile con la luce naturale.